Come potere aprire una riflessione sul viaggio del Papa, di questo papa Ratzinger, papa tedesco, della generazione che ha conosciuto l'odio antisemita e razzista della seconda guerra mondiale? Forse, come di solito amo fare, dalle conseguenze. Qualcosa di buono da qualcosa di non buono si distingue, infatti, proprio dalle conseguenze. Partiamo, allora, dalla fine. Ad accompagnare il vescovo di Roma, il successore di Pietro all'aereoporto sono stati israeliani e palestinesi. Insieme. Come in un abbraccio di ringraziamento per questa visita. Un successo per tutti. Per il Papa che testimonia l'importanza della Terra Santa per la cristianità ed invita i cristiani che vi vivono a preservare questo tesoro a tutti noi; per gli Israeliani, che riscoprono un'alleato vero, religioso che in questo periodo di odi e minacce è essenziale; per i Palestinesi perché, ancora una volta, ci si accorge che quel muro che divide i quartieri di Gerusalemme è come il muro di Berlino, sà di "guerra fredda" crea un clima di sospetto e di militarizzazione perenne, anche quando non scoppiano bombe o non ci sono, ahinoi, nè morti nè feriti.
Questa emergenza di pace, di superamento delle divisioni, allora, è oggi più presente. Ed in questo il Papa è stato finalmente un artefice. Deve fare molto altro ma questo è il suo ruolo. Arroccato a commentare la mancanza di prestigio come riferimento politico e morale in Italia il Papa piange su sè stesso e mortifica la propria missione. Essa è universale. Cosa che molti hanno dimenticato e che da Papa Leone XIII, invece, si è andata via via accentrando come cuore dell'azione papale.
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NUOVO CRISTIANESIMO
Chi crede in me, non crede in me ma in Colui che mi ha mandato; chi vede me, vede Colui che mi ha mandato (Gv,12, 44-45)
Il blog di analisi, discussione e confronto sulla tradizione, la storia e la filosofia cristiana. Per ritornare alle origini di un pensiero e di un'azione che hanno rivoluzionato il destino dell'umanità.
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